“Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento (…).”
(Gabriele D’Annunzio)
Come è stato anticipato nell’articolo “La promessa d’amore”, non si può pensare di amare senza portare con sé il dolore dell’amore, la sofferenza della mancanza. La dinamica del desiderio, infatti, è guidata dalla “logica della mancanza”, come direbbe Lacan (Saulle, 2019).
Siamo in qualche modo “attratti da quest’oscurità piena di luce, da questa luce che ci condurrà nell’oscurità, in un gioco di gioia e tristezza infinita” (Di Adamo, 2020).
Nel desiderio di vivere un attimo di pura gioia, infatti, c’è anche il desiderio di sofferenza.
Schopenhauer paragonò la vita a un pendolo, “che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando per un fugace e illusorio intervallo di piacere” (Scarselli, 2013).
Il desiderio d’amore prende forma prima ancora di poterlo esprimere, ma nel momento in cui si materializza produce una nuova mancanza, un nuovo desiderio, destinato ad essere ricercato costantemente e a non essere mai appagato del tutto.
Questa ricerca insaziabile dell’altro diviene pertanto l’unico vero momento di felicità. L’attesa diviene dolce nel momento in cui si diventa consapevoli della prossimità a tale attimo.
Anche secondo Leopardi (1947) la vera felicità è puramente illusoria, poiché destinata a mutare costantemente e a non essere mai del tutto appagante. È nell’attesa, nella speranza del domani, pertanto, che il desiderio può realmente incarnare il presente.
Ma cos’è il desiderio? Qui ci viene in aiuto Recalcati (2016) che, con consapevole disinvoltura, supera la riduttiva concezione freudiana del desiderio come mera spinta pulsionale, come atto primitivo di concupiscenza, per arrivare a descrivere quello che Lacan definiva il desiderio del desiderio.
Quando si desidera qualcosa, si chiede “di poter essere e di poter diventare la mancanza dell’altro” (Recalcati, 2019).
Non si tratta più, infatti, di un bisogno innato di qualcosa, di un oggetto, ma di desiderare il desiderio di un altro, di essere desiderato da quell’oggetto e che comunque non ci appartiene.
È vero che il desiderio prende forma nel corpo dell’Altro, ma in qualche modo si sbarazza di questo Altro e diviene indipendente, depersonalizzato, privo di oggetto (Ulivi, 2022).
Il primo passo da fare, secondo Recalcati (2016), citando Lacan, è quello di staccare il desiderio dalla matrice biologico-istintuale-pulsionale.
Il secondo, è quello di indagare la matrice etimologica del desiderio, che deriva dal tedesco wunsch (tradotto in desiderio, voto).
Sempre secondo Lacan, il desiderio in sé non crea disordine, bensì rende lineare la vita dell’individuo, diviene in un certo senso la sua vocazione.
Non c’è niente di più lineare e ordinario del desiderio, perché quando desideriamo, sappiamo cosa vogliamo. È ben chiaro nella nostra mente qual è il nostro voto. Pertanto, non può crearsi disordine, caos, in qualcosa che nella nostra mente si raffigura come certezza.
Secondo questa innovativa concezione del desiderio, non c’è più la raffigurazione di un domatore e di un domato, ma di un contatto che il soggetto stabilisce con il desiderio stesso.
L’unico motivo di sofferenza è quello che lo stesso soggetto si pone nel momento in cui non accetta quel desiderio, non crea un contatto con esso e, pertanto, lo rifugge, non ne diviene responsabile, ma ne rimane schiacciato.
Ma si può davvero pensare al non pensabile? Possiamo raffigurarci qualcosa di cui siamo mancanti? Per Volli (2002) si tratta di un “rapporto col nulla”, di una voragine che “si riapre sempre e ci fa invidiosi di ciò che non siamo”.
Tuttavia, è un passo necessario da fare e che inevitabilmente compiamo tutti, poiché la vita stessa si plasma sul rapporto col desiderio dell’Altro e, quindi, sul desiderio di essere desiderati da esso.
Pertanto, non vi è privatizzazione del desiderio, afferma Volli (2002), in quanto diviene pubblico, interpersonale nell’esatto momento in cui si raffronta con l’alterità.
Nel celebre romanzo di Bédier “Tristano e Isotta”, il desiderio ci accompagna nella lettura di ogni pagina, ma è nel finale che prende forma. Nel sapere che Tristano era morto, Isotta si rese conto che le mancava esattamente ciò che più desiderava. Non il corpo del suo amato, che giaceva di fianco a lei, ma il suo amore (Galloni, 1998).
Si desidera ciò che è assente, si brama quello di cui più sentiamo la mancanza. È nell’assenza che stabiliamo un contatto con l’Altro, ma che non possiamo colmare.
È proprio su questo che Sofia, una dei due protagonisti dei “Dialoghi d’amore” di Yehudah Abravanel (Coppola, 2011), si interroga: “Perché le cose che da noi son stimate buone, quelle che aviamo e possediamo, l’amiamo, e quelle che ci mancano, le desideriamo: di modo che quel che s’ama, prima si desidera e di poi che la cosa desiderata s’è ottenuta, l’amore viene e manca il desiderio”.
Nel momento in cui si desidera, nel momento in cui si raffigura la possibilità di ottenere il desiderio dell’Altro, inevitabilmente ne veniamo sottratti e subiamo una mancanza.
Quando desideriamo qualcosa, infatti, tendiamo verso l’Altro, ci accingiamo a raggiungere una vicinanza, un contatto col desiderio, ma questo legame, afferma Vincenti (2017), “non può essere raggiunto, e l’insoddisfazione non può essere appagata da una presenza”.
L’unico modo che abbiamo per rapportarci con l’alterità, pertanto, è nell’insoddisfazione, nel difetto, nella mancanza a essere, poiché il desiderio “può esistere solo come questa assenza stessa” (Vincenti, 2017) e può essere colto solo nel momento in cui ci accorgiamo che è mancato.
Secondo Leghissa (2019), la poesia nasce proprio per cercare di colmare questa mancanza, perché permette di abitare “la distanza tra sé e un oggetto amato che non smetterà mai di rimanere in fondo inaccessibile”.
In un certo senso, possiamo definire il desiderio come il rapporto con l’Altro, quello che Vincenti (2017) definisce “Aperto”. Non si tratta più, infatti, di legare il desiderio alla matrice amorosa-pulsionale freudiana, ma di rapportarlo al mondo, all’essenza del vivere.
Il desiderio di questa alterità, di questo Aperto, trascende pertanto il singolo, per incarnare l’esperienza transindividuale, la storia dell’umanità, che del desiderio ha fatto la sua vocazione.
Bibliografia
Coppola, G. (2011). “Eros” e desiderio. B@belonline, 10-11, 83-90. DOI: 10.13134/2531-8624/10-11-2011/10
Di Adamo, A. (2020). «Ho un desiderio di te stasera» di Gabriele D’Annunzio. https://alessandrodiadamo.wordpress.com/
Galloni, P. (1998). Lo specchio di Tristano. Il Doppio, il desiderio e il disordine. Quaderni medievali, 45, 6-35. http://www.rmoa.unina.it/
Leghissa, G. (2019). Ciò di cui il desiderio è segno. Desiderio, amore e narrazione in una prospettiva antropologica. Aracne, 33, 81-93. doi:10.4399/97888255276366
Leopardi, G. (1947). Il sabato del villaggio. Canti e prose scelte (IV ed.). Milano: Editore Ulrico Hoepli Milano, 958-960. https://online.scuola.zanichelli.it/
Recalcati, M. (2016). Il desiderio secondo Lacan. https://vimeo.com/
Recalcati, M. (2019). Amore e Psiche. Lessico Amoroso. https://www.raiplay.it/
Saulle, D. (2019). Il desiderio dell’altro nel linguaggio di Lacan. https://www.donatosaulle.it/
Scarselli, V. (2013). La vita: “un pendolo tra noia e dolore”. https://www.istitutocalvino.edu.it/
Ulivi, S. (2022). Domanda d’amore e desiderio: un intreccio difficile. https://www.sibillaulivi.it/
Vincenti, E. (2017). Il desiderio. Segni e comprensione, XXX (90), 89-95. http://siba-ese.unisalento.it/ Volli, U. (2002). Figure del desiderio. Raffaello Cortina Editore, Milano. https://d1wqtxts1xzle7.cloudfront.net/